Curarsi, non diagnosticarsi

Il fenomeno delle diagnosi fai-da-te

"Dottore, da quello che ho letto credo di avere attacchi di panico". Questa frase, o sue varianti con riferimento a diversi disturbi, ricorre spesso nelle prime telefonate o mail di chi mi contatta.

"Quello che ho letto" è spesso un post sui social con "i cinque sintomi di…" oppure "i tre segni nascosti di…". E ogni volta mi trovo di fronte a una realtà complessa: da un lato la democratizzazione dell'informazione psicologica è un fenomeno positivo, dall'altro rischiamo di confondere la sensibilizzazione con l'autodiagnosi.

La psicologia come trend: pro e contro

Viviamo in un'epoca in cui la psicologia è diventata "trendy". Hashtag come #anxiety e #mentalhealth raccolgono milioni di visualizzazioni, influencer condividono le proprie esperienze terapeutiche e i micro-test di autodiagnosi proliferano sui social.

Tutto questo ha certamente contribuito a ridurre lo stigma intorno ai disturbi psicologici, ma ha anche creato un effetto collaterale inaspettato.

L'etichetta come rifugio

Molte persone si identificano con sintomi descritti online, trovano un primo conforto nel dare un'etichetta al proprio malessere. L'urgenza di trovare una categoria diagnostica che spieghi il proprio stato d'animo è comprensibile: in un mondo complesso e incerto, un'etichetta può offrire un senso di controllo e appartenenza. Se poi il mondo rifiuta di metterci addosso etichette piacevoli, almeno possiamo applicarci provocatoriamente quelle più scomode, come "malato" "paziente" "depresso" "ansioso".

Quando l'autodiagnosi diventa problematica

Il problema sorge quando l'autodiagnosi sostituisce o ritarda la ricerca di aiuto professionale. Alcune persone arrivano in terapia già "convinti" della propria diagnosi, talvolta resistenti ad esplorare altre possibilità. Altri, al contrario, si spaventano talmente tanto da quello che leggono online da evitare completamente di cercare aiuto – uno schema che vedo spesso anche nei professionisti sotto pressione lavorativa.

Soffrire di un disturbo psicologico non è solo "sentirsi agitati" o "stressati". È un'esperienza che interferisce significativamente con il funzionamento quotidiano, le relazioni e la qualità di vita. Capire di che cosa si tratta (tipo di problematica, durata, intensità e frequenza dei sintomi, effetti specifici, possibili cause…) richiede una valutazione attenta e riferimenti solidi, non un quiz di tre minuti.

Come riconoscere i segnali autentici

Come distinguere, allora, tra un "normale" periodo di difficoltà e un disturbo che merita attenzione professionale? Alcuni indicatori importanti includono:

  • Durata: i sintomi persistono per settimane o mesi

  • Intensità: la nostra reazione emotiva è sproporzionata rispetto alla situazione scatenante

  • Funzionamento: il problema interferisce con lavoro, relazioni o attività quotidiane

  • Controllo: il problema appare impossibile da gestire nonostante gli sforzi.

La diagnosi: strumento del professionista, non etichetta definitiva

È importante chiarire un aspetto fondamentale: la diagnosi è principalmente uno strumento di lavoro per il professionista, serve per inquadrare il problema e orientare l'intervento. Non è un'etichetta definitiva da portarsi dietro per sempre.

Secondo punto cruciale: il trattamento è sempre personalizzato. Non esistono due terapie identiche per la stessa diagnosi, perché ogni persona porta con sé una storia unica, risorse diverse, contesti specifici. La psicologia è profondamente personale – e curiosamente, anche la medicina sta andando sempre più in questa direzione, verso approcci individualizzati.

Un approccio equilibrato al benessere psicologico

Non sto suggerendo di ignorare i contenuti online o di diffidare di chi condivide la propria esperienza. Al contrario, questi strumenti possono essere preziosi alleati nella sensibilizzazione e nell'avvicinamento alla psicologia.

Il punto è usarli come punto di partenza, non di arrivo. Se qualcosa che leggi o vedi risuona con la tua esperienza, prendilo come un invito a riflettere, a consultare un professionista, a leggere qualcosa di più approfondito. Stando lontani dalle autodiagnosi definitive, anche perché persino in un ottimo percorso di terapia ci si può accorgere, strada facendo, che la diagnosi iniziale non era esatta.

L'importante è focalizzarsi con continuità sulla specifica esperienza personale (cosa succede ogni giorno in me e intorno a me? cosa mi piacerebbe succedesse, invece?) e confrontarla costantemente con i modelli esplicativi forniti dalla psicologia (come “funzionano” di solito queste situazioni? Che cosa potrei fare?) per comprendere a fondo il “messaggio” nascosto nel disagio che si prova e provare a rispondere (Che cosa voglio fare in modo diverso?) dandosi sempre la possibilità di migliorare.

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